Non di lingue con quel fuoco che cresce
assorbe e precipita
non di caldi spazi che bruciano
bensì di vette con aria congelata
dove respirare risulta impossibile.
Così voglio incendiarmi
con lo stile di Clemente Orozco
incendiarmi in compiti di volontà e passione
in lavori con la parola
in artigianato con suoni
in occhi tristi intelligenti
in profondità di visioni.
Per questo guardo da lontano e da vicino
mi approssimo e mi allontano
mi tolgo dalle spalle equipaggi
mi colmo d’amore
e mi nascondo.
Incendiarsi sembra crudele
perché ciò che brucia duole
ma è necessario ed essenziale
per credere di vivere.
Quelli che fuggono dal fuoco
fuggono dall’aria dalla luce
e dalla terra con il suo manto verdino
dove la pioggia spegne ciò che arde.
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Dire ( eh!)
Accendere la musica ( eh!)
Chiudere gli occhi
Non fare male
L’erba se ne frega
I libri
Astronavi e botti
Vulcani che si spengono
Altri silenziosi
Mi giro sulla schiena
Un fatto di nessuno
Mi alleno
Dormo
Bene
Non faccio attenzione a non schiacciare le formiche.
/
Dio era davanti a me, mio come una casa in affitto.
Mi guardava come fossi la bambina di una taglia più grande del vestito che mi aveva preparato.
Mi ha sfiorato lo zigomo. Poi ha lasciato cadere la mano. Mi ha dato la sua bocca.
Ha detto lasciala scorrere lungo le curve dei gomiti, nello sbadiglio.
Sentirai il duro della testa, la forma liquida del sangue.
Ti entrerò come la morte. Ti farò vedere.
Una coltellata di neve ha fatto il suo ingresso.
Era pazzo.
Io con Lui.
Era inverno.
Ero grassa di Lui.
Poi è successo. Qualcosa si è deformato.
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come un sasso invaghito
dell’onda
mi possiede mi possiede
per sempre
questo vuoto aperto
di abbandono
mi perforano le tempie
come di liturgie
in ginocchio
fino alla rovina
queste pagine aperte
nel tempo in precipizio
m.a.
CRISTINA BOVE, Quasi un teatrino
La prima intinse il dito nel bicchiere
lo passò sulla bocca della bambola che si tinse di rosso.
La seconda disse che il morellino di scansano
non va sprecato in questo modo.
La terza alzò le spalle sbuffando e le mandò a quel paese
aveva bei dentini nel sorriso
di porcellana, occhi di vetro azzurro
ammiccanti in frazioni di secondo__ non se ne accorse mai nessuno.
Di quelle tre non c’era da fidarsi.
Lo sapevano gli orsi, i cani e i gatti
tutta la comitiva di peluche
coccodrilli di plastica, supereroi in mimetica
raccontavano cose che gli umani__cose che, come scrisse il gran poeta
ce ne sono talmente sotto il cielo
da non potersi immaginare.
Ma nemmeno l’indizio plateale
_La fattoria degli animali_
fu mai considerato seriamente.
– Come non se ne accorsero?- domandò la più piccola
– Erano troppo intenti a sopraffare, a rubarsi l’un l’altro di che vivere
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Patrizia Vicinelli
Non sempre ricordano
Poesia Prosa Performance
Le Lettere
«e il cesso è favolosamente bianco e banale e il primo brivido è stata la mia vita il mio whisky di stasera is nothing for me sappia telo, io voglio farvi deviare sappiatelo, amici nemici sappiatelo, preparatevi»
(da Messmer, Romanzo del 1980-’88)
Favolosa e straniante, la Vicinelli ci invita ad entrare nel panorama multiforme e caotico di una poetica continuamente in fieri. Offrendosi come personalità frazionata, scossa da un forte sentire, come ci mostra il romanzo biografico Messmer, il pronome personale «io», di questa poetessa o poeta, passa continuamente dalla prima alla seconda e terza persona, che sia plurale o singolare. Attraverso la propria esperienza, messa a nudo, la Vicinelli ci presenta una sorta di inferno capovolto: quello degli anni a cavallo tra i Settanta e gli…
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natàlia castaldi – scritture – (2007-2013) – e-book
avrei voluto, dove la nuca
si apre convessa alla materia
dura del giorno – lì –, scrivere
la delicatezza della pioggia
e l’ostinazione di una rosa
l’inverno